Storia della speleologia in Campania

Premessa

Quella che di seguito descriveremo non è la fedele storia della speleologia in Campania, quanto piuttosto una narrazione sintetica dell’accadere delle vicende legate alle grotte campane. Si tratta di fatti e situazioni sui quali spesso gli speleologi, ancorché coraggiosi e pionieristici, non hanno lasciato molta documentazione scritta; questo testo è un tentativo di ricostruire gli accadimenti principali della speleologia campana attingendo a frammenti di memoria collettiva tramandati oralmente di generazione in generazione. Nel tentativo di riportare con fedeltà i fatti, ci siamo documentati rovistando negli archivi, ma soprattutto abbiamo dato fondo ai nostri ricordi personali, ai racconti ascoltati in infiniti inganni di attese al freddo delle grotte, o attorno a un fuoco. Questa “storia” non ha quindi pretese di completezza. Ci scusiamo in anticipo con i tanti che, pur avendo dato qualcosa alla speleologia campana, non rientrano nella ricostruzione di quanto da noi visto o ricordato.

Gli albori

La prima descrizione di una grotta campana risale al 1551, ed è di tale Leandro Aliberti, frate domenicano di Bologna, che in Descrizione di tutta l’Italia parla della Grotta di Pertosa. In uno scritto del 1774, inoltre, il canonico arciprete Gianfrancesco Trutta descrive con entusiasmo la Grotta di Campo Braca in Matese e la natura carsica di questa montagna. I primi veri tentativi di esplorazione speleologica vengono effettuati invece nel 1889 nella Grotta di Castelcivita ad opera dei fratelli Giovanni e Francesco Ferrara di Controne che, purtroppo, pagano il loro ardimento l’uno con la morte l’altro con la follia.
I primi studi sistematici legati alle grotte risalgono al 1898-99, allorché il Patroni e il Carucci effettuano scavi alla Grotta di Pertosa per indagarne preistoria e paletnologia, e pubblicano un volume con le prime interpretazioni sui reperti rinvenuti (Patroni, 1900; Carucci, 1908; 1921).
La fine dell’Ottocento vede anche le prime esplorazioni del sottosuolo di Napoli. Tra il 1883 e il 1884, a seguito dell’epidemia di colera scoppiata a Napoli e di alcuni dissesti statici nei fabbricati e sprofondamenti stradali, Guglielmo Melisurgo (1857-1943), ingegnere del Comune di Napoli, comprende la necessità acquisire conoscenze dirette sul sottosuolo cittadino. È così che, con l’aiuto di Nunzio Esposito, capo degli operai addetti ai pozzi della città, in questi anni si dedica all’esplorazione sistematica della rete di gallerie, canali e pozzi presente sotto la città. Nel 1889, allo scopo di prendere parte attiva al dibattito tecnico sul sottosuolo di Napoli, Melisurgo si affretta a pubblicare dapprima a puntate sul giornale Il Pungolo e poi a dare alle stampe un saggio cui dà il titolo di Napoli sotterranea e nel quale per la prima volta viene fornita una precisa descrizione delle cavità e dei manufatti del sottosuolo napoletano.
Lo stesso Melisurgo (1889) scrive: “Per ogni escursione, mi rivestivo dei miei abiti, scarpe comprese. Indossavo un bel maglione di lana di qualunque stagione. Una mutanda a calzoncino e niente altro che una candela di sego ed un bastone. Al termine della mia escursione, i miei abiti trovavo che erano stati trasportati al luogo dove saremmo risaliti e così ritornavo il più delle volte in ufficio non senza aver fissato con Nunzio il giorno e il luogo per ricominciare.
E a casa mia, riordinavo ciò che avevo percorso rapportandolo ad una pianta detta “delle fognature” ed annotavo le particolarità dei cunicoli percorsi, delle vasche raggiranti riferite, sulle indicazioni datemi da Nunzio, ai fabbricati, vie e numeri plateali, e, molte volte anche nomi dei proprietari”.
E ancora, purtroppo: “Tutto il prezioso materiale lo consegnai all’ingegnere Fergola, mio collega al comune, il quale, per darsi da fare, volle assumersi l’incarico della formazione della planimetria dei canali da me, uno per uno, visitati e identificati fuori terra. E tutto questo materiale andò disperso, o non vorrei malignare, fatto scomparire per non accrescere i miei titoli di merito come ingegnere del comune e come l’unico che avesse percorso Napoli sotterranea”.

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